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Il
rischio autoritario
Sfasciare un paese dalle sue fondamenta
Dal
primo momento che il governo ha presentato un
progetto di riforma della costituzione così radicale come quello in
discussione al Senato, abbiamo lamentato una riflessione insufficiente, quasi
si preferisse inseguire degli slogan ad effetto, tipo “riduciamo le spese
della politica”, piuttosto che preoccuparsi di dotare la Repubblica di un
assetto istituzionale solido e coerente. La bagarre sul senato non elettivo
che divide il parlamento e persino il partito di maggioranza relativa è a
proposito fin troppo eloquente. Non c’è nessuno che sappia dirci come si
correlino fra loro due corpi parlamentari, uno dei quelli
eletto normalmente secondo la designazione data dal partito, l’altro sulla
base di una preferenza locale. I sindaci ed i governatori, anche senza la
possibilità di esprimere la fiducia al governo hanno un peso sicuramente più
forte di anonimi deputati. Tanti si sono
pronunciati, ancora giovedì in aula il senatore Calderoli, contro il rischio
di un ritorno al regime dittatoriali, ci sarebbe da
temere di più il conflitto istituzionale e la paralisi del paese. Cosa
accadrebbe, ad esempio se una Regione designasse al Senato un governatore
inquisito dalla magistratura, che in questo modo godrebbe dell’immunità
parlamentare? Perché anche ammesso che il nuovo senato non intralci mai
politicamente i lavori della Camera e del governo, resta il problema di una
camera alta utile a nascondere l'indecenza della pubblica amministrazione.
Questa sarebbe una Repubblica migliore dell’attuale? Possibile che nessuno abbia
sentito la necessità di discutere a fondo un aspetto di questa delicatezza?
La proposta di una assemblea costituente dove per lo
meno fare emergere delle linee di indirizzo meditate tali da indurre un po’
di prudenza, sarebbe servita per lo meno ad imbastire questi problemi in un
modo migliore, anche per ottenere una soluzione praticabile e perché no,
condivisa. Abbiamo preso atto che il tempo passato è stato anche troppo,
settant’anni e quindi che occorreva procedere. Come vada a finire lo vedremo e
non siamo in grado di fare pronostici di alcun tipo. Possiamo solo dire che
nella storia europea degli ultimi tre secoli abbiamo visto sistemi politici
di ogni sorta, a volte costituzionali a volte no, fondati
su leggi eccellenti o meno. Per quanto potessero
essere perfettibili o scadenti, questi sistemi per trasformarsi in dittature
avevano ovviamente bisogno di far decadere equilibri e guarentigie. La
demolizione della repubblica di Weimar, o l’ascesa del fascismo in Italia
sono esempi tangibili di come di possano smantellare
pezzo a pezzo le istituzioni democratiche. Eppure nemmeno l’incendio dei
Reichstag è bastato per avere davvero un regime. Per quello occorre impedire
il libero voto ai cittadini. I fascisti come i comunisti in Russia, fermarono
la macchina elettorale, non il bicameralismo. Per cui fin che l’Italia vota,
non ci sarà nessuna dittatura, tanto che Renzi dopo la fatica fatta per una
legge elettorale su misura, potrebbe essere sconfitto da Grillo. Ma se si
devasta il Paese dalle sue fondamenta, facendo venir meno la necessaria
coesione nazionale fra le forze politiche estinguendo persino quell' esercizio dialettico che ha caratterizzato la
nostra vita repubblicana, allora il rischio autoritario torna ad essere
un’opzione plausibile. E questo è quanto sta accadendo.
Roma, 18 settembre 2015
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